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Il biometano è un gas rinnovabile ottenuto dalla trasformazione della materia organica tramite digestione anaerobica (cioè priva di ossigeno) e, pertanto, è un ottimo esempio di economia circolare poiché consente di trasformare rifiuti (scarti del comparto agroalimentare, deiezioni animali e fanghi di depurazione) che richiederebbero trattamenti di smaltimento in energia e in compost di qualità che sostituisce validamente i fertilizzanti chimici.
Con 2mila impianti (l’80% dei quali è in ambito agricolo) l’Italia è il secondo produttore di biogas in Europa e il quarto a livello mondiale, ma i margini di crescita del settore sono enormi: secondo il Consorzio Italiano Biogas attualmente solo il 15% dei reflui zootecnici viene trattato in biodigestori che producono biometano e, nel prossimo decennio, questa percentuale potrebbe salire al 65%, facendo passando la produzione annua di biometano da 1,5 miliardi di m3 a 6,5. Al contempo è in crescita anche la ‘materia prima urbana’ che alimenta la filiera: nel 2019, a livello nazionale, sono stati raccolti 7,3 milioni di tonnellate di frazione organica di rifiuti urbani. La raccolta differenziata dei rifiuti urbani si attesta al 58% e la frazione organica rappresenta circa il 40% del totale dei rifiuti urbani differenziati.
Purtroppo, però, in passato è spesso accaduto che i cittadini si siano opposti alla realizzazione di impianti di biometano a causa delle esalazioni di cattivo odore e delle emissioni inquinanti legate al processo produttivo, nonché per l’impatto visivo degli impianti, per il traffico veicolare necessario al rifornimento e per lo sviluppo di batteri patogeni. Queste criticità, però, risultano superate grazie alle moderne tecnologie.
Per vincere, quindi, la diffidenza diffusa tra la popolazione su questo argomento Legambiente e la Nuova Ecologia hanno individuato nel biometano come secondo tema di “Unfakenews” la nuova campagna sulla corretta informazione ambientale.
Innanzitutto, secondo gli esperti è opportuno che gli impianti vengano installati vicino ai luoghi di maggior produzione dei rifiuti al fine di ridurre al massimo il tragitto dei loro viaggi e, per quanto concerne la loro dimensione, bisogna considerare che, nei prossimi anni, le percentuali di raccolta differenziata dell’organico aumenteranno e che, in ogni caso, i reflui zootecnici, gli scarti agroalimentari e i fanghi da depurazione, andranno trattati in altri impianti realizzati ad hoc.
Le emissioni inquinanti durante il processo sono minime rispetto ad altri tipi di impianti e sono più controllate e, negli stabilimenti moderni, il recepimento e lo stoccaggio del materiale organico avviene in locali chiusi dotati di unità di captazione e trattamento aria che prevengono la diffusione dei cattivi odori.
Per quanto attiene lo sviluppo di batteri patogeni, secondo gli studiosi, il processo di digestione anaerobica abbatte il contenuto della maggior parte dei batteri nocivi per l’uomo rendendo quindi più sicuro l’uso del digestato rispetto al refluo tal quale in ingresso.
“La digestione anaerobica per produrre biometano e compost di qualità - dichiara il presidente di Legambiente Stefano Ciafani - è un processo che comporta notevoli vantaggi su diversi fronti: permette la chiusura del ciclo di frazione organica differenziata, sottoprodotti agroalimentari, reflui zootecnici e fanghi di depurazione; garantisce la restituzione del carbonio al suolo per fermare i processi di desertificazione; produce energia rinnovabile, decarbonizza i trasporti, combatte l’inquinamento atmosferico e la crisi climatica. Per questo è necessario colmare il deficit impiantistico ancora esistente in vaste aree del nostro Paese, soprattutto nel centro sud, attivando veri processi di partecipazione territoriale, e analizzare gli impianti sia dal punto di vista della sostenibilità che da quello della circolarità, ponendo l’attenzione sui grandi benefici per i territori coinvolti”.
FONTE: COMUNICATO STAMPA