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In tempi di crisi economica, il primo obiettivo di tutti gli operatori è quello di ridurre al minimo gli sprechi.
Una delle soluzioni alle quali si ricorre con sempre più frequenza è quella di trasformare ciò che, fino a pochi anni fa, era considerato un rifiuto in una risorsa da impiegare nell’ambito produttivo.
Questo sistema che ribalta i canonici concetti di “materia prima” e di “scarto” fondendoli fra di loro ha un nome: “economia circolare”.
Secondo la Ellen MacArthur Foundation, che ha coniato la definizione di economia circolare, con tale termine si indica «un’economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera».
Ponendosi in contrapposizione al tradizionale modello economico lineare, fondato sullo schema “estrarre, produrre, utilizzare e gettare”, l’economia circolare è, al contrario, un sistema ideato e realizzato al fine di reimpiegare le materie prime e i materiali in genere in successivi cicli produttivi minimizzando, in tal modo, gli sprechi.
A fronte di un aumento della popolazione mondiale e del conseguente accrescimento della domanda di materie prime, si riscontra una forte riduzione della quantità di materie prime utilizzabili e quindi dell’aumento del loro prezzo di acquisto.
Non vanno inoltre trascurate le conseguenze ambientali legate all’accaparramento di materie prime: l’attività di estrazione e di utilizzo delle materie prime contribuisce ad aggravare l’impatto sull’ambiente in termini di consumo di energia e di aumento delle emissioni di anidride carbonica (CO2). Allo stesso tempo i tradizionali sistemi di produzione hanno portato i paesi dell’Unione europea a creare ogni anno più di 2,5 miliardi di tonnellate di rifiuti.
La transizione del nostro sistema economico verso forme di economie circolari avrebbe, quale conseguenze positive, una forte riduzione dell’impatto ambientale (le emissioni totali annue di gas serra calerebbero del 2-4%), una maggiore disponibilità di materie prime (il cui costo sarebbe ridotto di 6,4 miliardi di Euro all’anno), un aumento della competitività grazie ad una riduzione dei costi annui stimabile in 600 miliardi di Euro, pari all’8% del fatturato annuo e un incremento dell’occupazione valutabile, secondo le stime dell’UE, in 580.000 nuovi posti di lavoro.
In questo contesto l’applicazione dei precetti dell’economia circolare non può prescindere dall’implementazione della raccolta differenziata dei rifiuti e soprattutto della filiera del compost.
Secondo i dati raccolti dal Cic (Consorzio italiano compostatori), la filiera del compost si conferma al primo posto in Italia con il 43% dei rifiuti urbani raccolti che, dal 1992, ha consentito di recuperare oltre 65 milioni di tonnellate di frazione organica. Per quanto concerne l’impiego del compost ottenuto più dell’80% è utilizzato nel comparto dell’agricoltura tradizionale di pieno campo (cerealicole, foraggere, viticoltura, ecc.); mentre il restante 20% è utilizzato al fine di realizzare prodotti fertilizzanti destinati al giardinaggio.
Il prezzo medio di vendita del compost sfuso in grandi quantità - che costituisce la forma più diffusa di vendita - è di circa 10 €/t mentre il prezzo del compost confezionato, anche in miscela con torba o altre componenti, può raggiungere anche i 120 €/t.