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La prospettiva dell'economia circolare oggi rappresenta una grande opportunità per il nostro Paese in termini di sviluppo occupazionale ed economico e per la risoluzione di annosi e gravi problemi come quello della gestione dei rifiuti, della reperibilità delle materie prime, dell’efficienza energetica e delle ingenti spese per le importazioni.
Nella prima giornata del IV Ecoforum organizzato a Roma da Legambiente, La Nuova Ecologia e Kyoto Club con la partecipazione di CONOU (Consorzio nazionale per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati), si è parlato delle migliori esperienze italiane in tema di economia circolare ma anche degli ostacoli, non tecnologici, che occorre superare per poter sfruttare e beneficiare appieno delle opportunità offerte da questo nuovo tipo di scenario economico. Si stima infatti che una transizione completa a un'economia circolare in Europa potrebbe generare risparmi di circa 2mila miliardi di euro entro il 2030; un aumento del 7% del PIL dell'UE, con un aumento dell'11% del potere d’acquisto delle famiglie e 3 milioni di nuovi posti di lavoro supplementari
Come mette a fuoco Legambiente, per facilitare lo sviluppo dell’economia circolare, occorre fissare criteri tecnici e ambientali (specifici) per stabilire quando, a valle di determinate operazioni di recupero, un rifiuto cessi di essere tale e diventi una materia prima secondaria o un prodotto, non più soggetto alla normativa sui rifiuti. Occorrono quindi delle disposizioni normative specifiche che stabiliscono i criteri e i requisiti specifici per dichiarare il cosiddetto “End of waste” (come previsto dalla direttiva europea 2008/98/EC e a livello nazionale dall’art. 184 ter del 152/06 ss.mm.ii).
Storie di sviluppo mancato
Pneumatici fuori uso, sacchetti compostabili, pannolini usati, rifiuti di fonderia e di demolizione: 5 storie di filiere virtuose a rischio chiusura per problemi non tecnologici. Non potevamo sicuramente esimerci dal riportare quanto raccontato durante l'Ecoforum in relazione ai sacchetti compostabili.
L’Italia vanta un primato a livello europeo dovuto alla lungimiranza mostrata inserendo, nella legge finanziaria 2007, le prime norme nazionali finalizzate a vietare i sacchetti di plastica non compostabili per l’asporto delle merci. Norma divenuta effettiva solo 5 anni dopo, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto legge n.2 del 25 gennaio 2012 che fissa anche i requisiti dei sacchetti “legali”, consentendo alle sole plastiche compostabili certificate (UNI EN 13432) di essere utilizzate, e stabilisce le sanzioni per chi infrange tali disposizioni (vigenti dall’agosto 2014). Questa lungimiranza ha permesso una riduzione nel consumo di sacchetti di plastica del 55% (da 200mila a 90mila tonnellate/anno) e una diminuzione in termini di CO2 di circa 900 mila tonnellate. Eppure, metà dei sacchetti in circolazione in Italia sono ancora illegali (40mila tonnellate di plastica), a discapito della filiera legale con una perdita di circa 160 milioni di euro, a cui si devono aggiungere 30 milioni di euro di evasione fiscale e 50 milioni di euro necessari per lo smaltimento delle buste fuori legge. Occorre quindi far rispettare una legge che permette di ridurre l’inquinamento e di migliorare la raccolta differenziata, promuovendo la riconversione industriale verso processi innovativi, rafforzando il sistema di controlli e applicando le sanzioni per fermare gli illeciti.